La Sicilia possiede una tradizione secolare. Gli oggetti antichi, sopratutto, richiamano la sua storia. Oggi parliamo di un attrezzo agricolo, indispensabile per la coltura del grano: u crivu.
Dentro le campagne siciliane
Dunque, c’era una volta, in un paesino lontano della Sicilia, un enorme terreno con un granaio e una casetta di campagna al centro. Aveva il tetto spiovente e le finestre verdi la rendevano caratteristica e fuori dal comune.
Folte edere salivano lungo i muri che, di tanto in tanto, diventavano punti di relax per le lucertole.
Dalla porta d’ingresso partiva un sentiero, costituito da ciottoli e ghiaia, e portava alla strada principale. Il tutto era contornato da alberi di ciliegio che fiorendo in primavera, coloravano l’ambiente di un bianco candido e puro.
In quella casa viveva una giovane fanciulla. Era bella, forse la più bella del paese, e aiutava il padre nei lavori del campo.
Il terreno, infatti, ospitava un’immensa coltivazione di grano. Un terreno profondo, permeabile, mediamente argilloso e fertile come una donna nella sua giovinezza.
La donna aveva capelli lisci e rossi, con un elastico che li raccoglieva in una lunga coda. Indossava un paio di occhiali rotondi e il suo volto era disegnato da infinite lentiggini.
Suo padre era un uomo sulla sessantina, calvo e con la barba rada e brizzolata. Aveva delle rughe lungo i solchi del sorriso mentre gli occhi si chiudevano in una fessura.
Era il mese di maggio e le spighe stavano iniziando ad aprirsi. Il campo era un’immensa tavola color oro come quello del sole di mezzogiorno.
Come ogni anno, l’uomo e la figlia, cominciavano la raccolta del grano.
Ogni spiga tagliata veniva messa dentro un grosso cesto di vimini ed esposta al sole, in modo che il caldo del giorno potesse asciugarla dalla rugiada notturna ed essiccarla.
U crivu e il suo utilizzo
L’aria era fresca e il cielo limpido e privo di nuvole. Il vento spostava dolcemente i capelli provocando una sensazione piacevole e trasportava un odore di foglie di alberi ed erba bagnata.
Il giorno seguente fu la volta della macinatura del grano. L’uomo possedeva un mulino domestico a pietra realizzato in legno di faggio. La farina che produceva era genuina e buona.
La figlia prese un arnese da dietro il camino e iniziò ad adagiarvi sopra la farina. Era u crivu (dal dialetto siciliano), un antico arnese indispensabile per setacciare la farina e separarla dagli scarti non filtrati dal mulino.
Iniziò a scuoterlo più e più volte fino a quando tutto il grano macinato non fu cribrato. Vennero riempiti, in totale, sette recipienti nei giorni seguenti e dietro il sudore e la stanchezza, nel volto dell’uomo si disegnò un sorriso.
Anche quest’anno il raccolto era andato bene e il lavoro sarebbe stato ricompensato dai piccoli commercianti della zona.
La mattina dopo era un nuovo giorno. Un giorno di lavoro, di stanchezza e soddisfazioni. Un giorno dove, ancora una volta, il sole della Sicilia avrebbe baciato il campo, promettendo frutti e fertilità.
Paolo Manetta
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